IL DIALETTO DI ROVIGNO D'ISTRIA
Il dialetto di Rovigno d'Istria è quello che rimane di una parlata preveneta, una volta forse ampiamente diffusa in Istria, comprendendo i dialetti istrioti o istroromanzi consimili di Valle d'Istria, Dignano, Gallesano e Sissano.
La prima testimonianza della presenza di un cosiddetto dialetto italico volgare in Istria ci viene dal famoso scrittore e poeta Dante Alighieri. Il Maestro precisa che la parlata italica dell'Istria è diversa da quella dei veneziani e da quella dei friulani.
Il primo ad aver studiato la parlata autoctona di Rovigno fu il professor Antonio Ive (Rovigno 1851, Graz 1937), autore del saggio Canti popolari istriani raccolti a Rovigno, (1877) che simboleggia il punto di partenza per lo studio del dialetto rovignese. Ive raccolse intoltre Le novelline popolari (1877), le Fiabe, e parte dei Proverbi, significativi per lo studio della parlata a lui contemporanea.
L'opuscolo Pascaduri e sapaduri di Raimondo Devescovi (1894), ovvero Vita rovignese, bozzetti in vernacolo (150 pagine di episodi popolani dell'epoca), fanno seguito all'opera di Ive.
L'apprezzamento del dialetto rovignese da parte degli intellettuali dell'epoca esplode all'inizio del XX secolo con le prime canzoni d'autore: La batana (A. Zecchi e G. Devescovi), Li tabacheine o meglio conosciuta come Li ven soun par li casale (G. Peitler e A. Rismondo, 1908), Li muriede ruvignise ovvero Vignì sul mar muriede (C. Fabretto e A. Nieder, 1926), I omi de pera (operetta scritta da C. Fabretto, pubblicata nel 1956).
Il periodo più drammatico della storia, ma il più florido per il dialetto rovignese, si delinea dopo la Seconda guerra mondiale. Lo sfollamento successivo all'esodo della popolazione italica rovignese, lascerà spazio alla vena creativa degli intellettuali dell'epoca, i rimasti che, con le loro opere valorizzeranno la vita popolare e la loro parlata, consapevoli dell'enorme lacuna lasciata dal dopoguerra sull'aspetto culturale e sociale della popolazione rimasta.
A partire dagli anni ʿ50 in poi, la produzione letteraria in dialetto lascerà una testimonianza indelebile dell'esistenza e della versatilità lessicale della parlara istriota. A testimoniare il tutto sono le opere scritte da Giusto Curto, Giovanni Pellizzer, Giovanni Santin, Antonio Segariol e Giovanni Malusà, nonché la produzione degli „Appuntamenti rovignesi“ dove gli stessi autori hanno presentato le loro opere magne.
In quel periodo nacquero i primi bozzetti teatrali che, oltre a riprendere il dialetto, incorporarono pure i canti tradizionali rovignesi, le BITINADE e le ARIE DA NUOTO.
A partire dagli anni ʿ60, grazie alla lungimiranza dei vertici dell'UIIF, nacquero il concorso d'arte e di cultura ISTRIA NOBILISSIMA, volto a stimolare la produzione letteraria e artistica in dialetto, e la rivista LA BATTANA. Proprio in questo periodo iniziò a farsi sentire la voce di Ligio Zanini, che assieme al Curto e al Pellizzer, segnò un trentennio di feconda e valida lirica e narrativa in dialetto, assieme ad altri autori: Antonio-Gian Giuricin, Matteo Benussi, Giordano Paliaga.
Alcune delle opere più belle di Curto e Zanini vennero musicate dai maestri Domenico Garbin, Dušan Prašelj, Piero Soffici e dall'allora giovanissimo Vlado Benussi, che dal 1976 arricchì il bagaglio musicale in dialetto rovignese con una marea di canzoni di musica leggera, corale e con operette scritte di proprio pugno, contribuendo ancora oggi al mantenimento e alla diffusione della parlara rovignese, assieme al fratello, Libero Benussi.
Il periodo dal 1987 al 1993 vide spegnersi i grandi cultori del dialetto rovignese, ovvero, Curto, Pellizzer, Zanini e altri autori, lasciando un vuoto apparentemente incolmabile, ma cominciarono a farsi strada le nuove leve nate dopo la Seconda guerra mondiale: Libero e Vlado Benussi, Elia Benussi, Sabrina Benussi, Riccardo Bosazzi, Eleonora Brezovečki, Mirella Malusà,Dario Massarotto, Antonio Pauletich, Maria Sciolis, Tino Sorgo, fino ai più recenti come Alessandro Salvi ....
Ad incutere passione e dedizione ai ragazzi della Scuola elementare „Bernardo Benussi“ e a quelli della SMSI furono gli instancabili Vlado e Libero Benussi, meritevoli di aver guidato i ragazzi nella stesura di prose e poesie, premiate a vari concorsi letterari, come ad es. ISTRIA NOBILISSIMA o FAVALANDO ALLA RUVIGNISA.
Di inestimabile valore l'opera di Giovanni e Antonio Pellizzer, ovvero il Vocabolario del dialetto di Rovigno d'Istria (in due volumi, edito dal Centro di ricerche storiche di Rovigno, 1992) e l'opuscolo di Mirko Deanović, Avviamento allo studio del dialetto di Rovigno d'Istria (1958). Oltre ai Pellizzer, si deve a Libero Benussi il nuovo Vocabolario Italiano-Rovignese e appendice (1992-2013), ripreso parzialmente dai Pellizzer e la Grammatica del dialetto di Rovigno D'Istria (edito dalla Comunità degli italiani „Pino Budicin“ di Rovigno, 2015).
Attualmente a Rovigno i parlanti del dialetto rovignese non superano il centinaio, in buona parte appartenenti alla generazione che abbraccia i nati negli anni dal 1930 al 1950.
La parlata di oggi denota una progressiva corruzione dovuta ai neologismi, che non trovano corrispondenza in un dialetto che stenta ad evolversi, alla scarsa motivazione nel raggiungimento di una buona padronanza lessicale di terminologie specifiche e risolutive, all'incrociarsi del dialetto con le parlate correnti (innanzitutto, dialetto istro-veneto e lingua italiana e il croato-lingua dell'ambiente sociale, con l'annesso dialetto ciacavo).
Il dialetto di Rovigno, come tutti i dialetti dell’Istria meridionale, conservati o estinti, è l’erede diretto del latino parlato nella regione. La sua storia è tuttavia solo parzialmente lineare, perché è a prima vista evidente che il rovignese è stato esposto per secoli alla pressione del veneziano, con il quale è convissuto in rapporti di bilinguismo prima e diglossia poi. Questo dialetto va compreso proiettandolo sull’insieme dei dialetti dell’Istria, ha un’identità che si coglie solo cogliendo l’identità complessiva della regione e l’Istria, nonostante la sua modesta estensione geografica, è stata sempre terra di varietà e di variazioni linguistiche. Raccolta attorno ai suoi campanili ha scelto (o accettato) di essere veneziana come prima aveva accettato di essere latina, negoziando costantemente la singola identità locale con il potente modello che le veniva dall’esterno, da Venezia poi e da Aquileia prima. Non vedere questa dinamica con le realtà contermini - innanzi tutto Friuli e Liburnia / Quarnero - con il più generale e irrinunciabile riferimento all’Italia nord orientale significa precludersi alla comprensione dei fatti. La cittadina di Rovigno ha preso il proprio nome da un nome romano, Rufīnius, ed è dunque un toponimo prediale pur se non ulteriormente suffissato in -ānum come i nomi di Dignano, Sissano, Gallesano e Fasana: esiste dunque anche una continuità della quale tener conto, in quanto la base dell’insediamento urbano in Istria è stata largamente condizionata dalla struttura romana dello sfruttamento agricolo.
Franco Crevatin
(tratto da: Benussi, Libero. Grammatica del dialetto di Rovigno d'Istria / Comunità degli italiani "Pino Budicin", Rovigno, 2015. A cura di Franco Crevatin. pp. 11)